domenica 26 dicembre 2010

Letture Natalizie, "Libertà" di Giovanni Verga

Dipinto di Pietro Annigoni dedicato ai fatti di
Bronte a cui si ispirò G.Verga.
Ci regaliamo come lettura Natalizia, questa Novella di Verga, che sicuramente molti conosceranno dai tempi della scuola, ma che riletta oggi di sicuro ha un maggior valore.


Non per le dinamiche dei fatti, qui il volgo nulla ha fatto, ma per la possibilità di illudersi che l'uomo ha innata, rispetto alla realtà che lo circonda e alle proprie capacità.


Dunque dalle Novelle Rusticane del 1883, ecco "Libertà".






Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! -
  Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino deigalantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola.
  - A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri! - Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie. - A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato l'anima! - A te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! - A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente! - A te, guardaboschi! che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno! -
  E il sangue che fumava ed ubbriacava. Le falci, le mani, i cenci, i sassi, tutto rosso di sangue! - Ai galantuomini! Ai cappelli! Ammazza! ammazza! Addosso ai cappelli! -
  Don Antonio sgattaiolava a casa per le scorciatoie. Il primo colpo lo fece cascare colla faccia insanguinata contro il marciapiede. - Perché? perché mi ammazzate? - Anche tu! al diavolo! - Un monello sciancato raccattò il cappello bisunto e ci sputò dentro. - Abbasso i cappelli! Viva la libertà! - Te'! tu pure! - Al reverendo che predicava l'inferno per chi rubava il pane. Egli tornava dal dir messa, coll'ostia consacrata nel pancione. - Non mi ammazzate, ché sono in peccato mortale! - La gnà Lucia, il peccato mortale; la gnà Lucia che il padre gli aveva venduta a 14 anni, l'inverno della fame, e rimpieva la Ruota e le strade di monelli affamati. Se quella carne di cane fosse valsa a qualche cosa, ora avrebbero potuto satollarsi, mentre la sbrandellavano sugli usci delle case e sui ciottoli della strada a colpi di scure. Anche il lupo allorché capita affamato in una mandra, non pensa a riempirsi il ventre, e sgozza dalla rabbia. - Il figliuolo della Signora, che era accorso per vedere cosa fosse - lo speziale, nel mentre chiudeva in fretta e in furia - don Paolo, il quale tornava dalla vigna a cavallo del somarello, colle bisacce magre in groppa. Pure teneva in capo un berrettino vecchio che la sua ragazza gli aveva ricamato tempo fa, quando il male non aveva ancora colpito la vigna. Sua moglie lo vide cadere dinanzi al portone, mentre aspettava coi cinque figliuoli la scarsa minestra che era nelle bisacce del marito. - Paolo! Paolo! - Il primo lo colse nella spalla con un colpo di scure. Un altro gli fu addosso colla falce, e lo sventrò mentre si attaccava col braccio sanguinante al martello.
  Ma il peggio avvenne appena cadde il figliolo del notaio, un ragazzo di undici anni, biondo come l'oro, non si sa come, travolto nella folla. Suo padre si era rialzato due o tre volte prima di strascinarsi a finire nel mondezzaio, gridandogli: - Neddu! Neddu! - Neddu fuggiva, dal terrore, cogli occhi e la bocca spalancati senza poter gridare. Lo rovesciarono; si rizzò anch'esso su di un ginocchio come suo padre; il torrente gli passò di sopra; uno gli aveva messo lo scarpone sulla guancia e glie l'aveva sfracellata; nonostante il ragazzo chiedeva ancora grazia colle mani. - Non voleva morire, no, come aveva visto ammazzare suo padre; - strappava il cuore! - Il taglialegna, dalla pietà, gli menò un gran colpo di scure colle due mani, quasi avesse dovuto abbattere un rovere di cinquant'anni - e tremava come una foglia. - Un altro gridò: - Bah! egli sarebbe stato notaio, anche lui! -
  Non importa! Ora che si avevano le mani rosse di quel sangue, bisognava versare tutto il resto. Tutti! tutti i cappelli! - Non era più la fame, le bastonate, le soperchierie che facevano ribollire la collera. Era il sangue innocente. Le donne più feroci ancora, agitando le braccia scarne, strillando l'ira in falsetto, colle carni tenere sotto i brindelli delle vesti. - Tu che venivi a pregare il buon Dio colla veste di seta! - Tu che avevi a schifo d'inginocchiarti accanto alla povera gente! - Te'! Te'! - Nelle case, su per le scale, dentro le alcove, lacerando la seta e la tela fine. Quanti orecchini su delle facce insanguinate! e quanti anelli d'oro nelle mani che cercavano di parare i colpi di scure!
  La baronessa aveva fatto barricare il portone: travi, carri di campagna, botti piene, dietro; e i campieri che sparavano dalle finestre per vender cara la pelle. La folla chinava il capo alle schiopettate, perché non aveva armi da rispondere. Prima c'era la pena di morte chi tenesse armi da fuoco. - Viva la libertà! - E sfondarono il portone. Poi nella corte, sulla gradinata, scavalcando i feriti. Lasciarono stare i campieri. - I campieri dopo! - I campieri dopo! - Prima volevano le carni della baronessa, le carni fatte di pernici e di vin buono. Ella correva di stanza in stanza col lattante al seno, scarmigliata - e le stanze erano molte. Si udiva la folla urlare per quegli andirivieni, avvicinandosi come la piena di un fiume. Il figlio maggiore, di 16 anni, ancora colle carni bianche anch'esso, puntellava l'uscio colle sue mani tremanti, gridando: - Mamà! mamà! - Al primo urto gli rovesciarono l'uscio addosso. Egli si afferrava alle gambe che lo calpestavano. Non gridava più. Sua madre s'era rifugiata nel balcone, tenendo avvinghiato il bambino, chiudendogli la bocca colla mano perché non gridasse, pazza. L'altro figliolo voleva difenderla col suo corpo, stralunato, quasi avesse avuto cento mani, afferrando pel taglio tutte quelle scuri. Li separarono in un lampo. Uno abbrancò lei pei capelli, un altro per i fianchi, un altro per le vesti, sollevandola al di sopra della ringhiera. Il carbonaio le strappò dalle braccia il bambino lattante. L'altro fratello non vide niente; non vedeva altro che nero e rosso. Lo calpestavano, gli macinavano le ossa a colpi di tacchi ferrati; egli aveva addentato una mano che lo stringeva alla gola e non la lasciava più. Le scuri non potevano colpire nel mucchio e luccicavano in aria.
  E in quel carnevale furibondo del mese di luglio, in mezzo agli urli briachi della folla digiuna, continuava a suonare a stormo la campana di Dio, fino a sera, senza mezzogiorno, senza avemaria, come in paese di turchi. Cominciavano a sbandarsi, stanchi della carneficina, mogi, mogi, ciascuno fuggendo il compagno. Prima di notte tutti gli usci erano chiusi, paurosi, e in ogni casa vegliava il lume. Per le stradicciuole non si udivano altro che i cani, frugando per i canti, con un rosicchiare secco di ossa, nel chiaro di luna che lavava ogni cosa, e mostrava spalancati i portoni e le finestre delle case deserte.
  Aggiornava; una domenica senza gente in piazza né messa che suonasse. Il sagrestano s'era rintanato; di preti non se ne trovavano più. I primi che cominciarono a far capannello sul sagrato si guardavano in faccia sospettosi; ciascuno ripensando a quel che doveva avere sulla coscienza il vicino. Poi, quando furono in molti, si diedero a mormorare. - Senza messa non potevano starci, un giorno di domenica, come i cani! - Il casino dei galantuomini era sbarrato, e non si sapeva dove andare a prendere gli ordini dei padroni per la settimana. Dal campanile penzolava sempre il fazzoletto tricolore, floscio, nella caldura gialla di luglio.
  E come l'ombra s'impiccioliva lentamente sul sagrato, la folla si ammassava tutta in un canto. Fra due casucce della piazza, in fondo ad una stradicciola che scendeva a precipizio, si vedevano i campi giallastri nella pianura, i boschi cupi sui fianchi dell'Etna. Ora dovevano spartirsi quei boschi e quei campi. Ciascuno fra sé calcolava colle dita quello che gli sarebbe toccato di sua parte, e guardava in cagnesco il vicino. - Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti! - Quel Nino Bestia, e quel Ramurazzo, avrebbero preteso di continuare le prepotenze deicappelli! - Se non c'era più il perito per misurare la terra, e il notaio per metterla sulla carta, ognuno avrebbe fatto a riffa e a raffa! - E se tu ti mangi la tua parte all'osteria, dopo bisogna tornare a spartire da capo? - Ladro tu e ladro io -. Ora che c'era la libertà, chi voleva mangiare per due avrebbe avuto la sua festa come quella deigalantuomini! - Il taglialegna brandiva in aria la mano quasi ci avesse ancora la scure.
  Il giorno dopo si udì che veniva a far giustizia il generale, quello che faceva tremare la gente. Si vedevano le camicie rosse dei suoi soldati salire lentamente per il burrone, verso il paesetto; sarebbe bastato rotolare dall'alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma nessuno si mosse. Le donne strillavano e si strappavano i capelli. Ormai gli uomini, neri e colle barbe lunghe, stavano sul monte, colle mani fra le cosce, a vedere arrivare quei giovanetti stanchi, curvi sotto il fucile arrugginito, e quel generale piccino sopra il suo gran cavallo nero, innanzi a tutti, solo.
  Il generale fece portare della paglia nella chiesa, e mise a dormire i suoi ragazzi come un padre. La mattina, prima dell'alba, se non si levavano al suono della tromba, egli entrava nella chiesa a cavallo, sacramentando come un turco. Questo era l'uomo. E subito ordinò che glie ne fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano, Pizzanello, i primi che capitarono. Il taglialegna, mentre lo facevano inginocchiare addosso al muro del cimitero, piangeva come un ragazzo, per certe parole che gli aveva dette sua madre, e pel grido che essa aveva cacciato quando glie lo strapparono dalle braccia. Da lontano, nelle viuzze più remote del paesetto, dietro gli usci, si udivano quelle schioppettate in fila come i mortaletti della festa.
  Dopo arrivarono i giudici per davvero, dei galantuomini cogli occhiali, arrampicati sulle mule, disfatti dal viaggio, che si lagnavano ancora dello strapazzo mentre interrogavano gli accusati nel refettorio del convento, seduti di fianco sulla scranna, e dicendo - ahi! - ogni volta che mutavano lato. Un processo lungo che non finiva più. I colpevoli li condussero in città, a piedi, incatenati a coppia, fra due file di soldati col moschetto pronto. Le loro donne li seguivano correndo per le lunghe strade di campagna, in mezzo ai solchi, in mezzo ai fichidindia, in mezzo alle vigne, in mezzo alle biade color d'oro, trafelate, zoppicando, chiamandoli a nome ogni volta che la strada faceva gomito, e si potevano vedere in faccia i prigionieri. Alla città li chiusero nel gran carcere alto e vasto come un convento, tutto bucherellato da finestre colle inferriate; e se le donne volevano vedere i loro uomini, soltanto il lunedì, in presenza dei guardiani, dietro il cancello di ferro. E i poveretti divenivano sempre più gialli in quell'ombra perenne, senza scorgere mai il sole. Ogni lunedì erano più taciturni, rispondevano appena, si lagnavano meno. Gli altri giorni, se le donne ronzavano per la piazza attorno alla prigione, le sentinelle minacciavano col fucile. Poi non sapere che fare, dove trovare lavoro nella città, né come buscarsi il pane. Il letto nello stallazzo costava due soldi; il pane bianco si mangiava in un boccone e non riempiva lo stomaco; se si accoccolavano a passare una notte sull'uscio di una chiesa, le guardie le arrestavano. A poco a poco rimpatriarono, prima le mogli, poi le mamme. Un bel pezzo di giovinetta si perdette nella città e non se ne seppe più nulla. Tutti gli altri in paese erano tornati a fare quello che facevano prima. Igalantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini. Fecero la pace. L'orfano dello speziale rubò la moglie a Neli Pirru, e gli parve una bella cosa, per vendicarsi di lui che gli aveva ammazzato il padre. Alla donna che aveva di tanto in tanto certe ubbie, e temeva che suo marito le tagliasse la faccia, all'uscire dal carcere, egli ripeteva: - Sta tranquilla che non ne esce più -. Ormai nessuno ci pensava; solamente qualche madre, qualche vecchiarello, se gli correvano gli occhi verso la pianura, dove era la città, o la domenica, al vedere gli altri che parlavano tranquillamente dei loro affari coi galantuomini, dinanzi al casino di conversazione, col berretto in mano, e si persuadevano che all'aria ci vanno i cenci.
  Il processo durò tre anni, nientemeno! tre anni di prigione e senza vedere il sole. Sicché quegli accusati parevano tanti morti della sepoltura, ogni volta che li conducevano ammanettati al tribunale. Tutti quelli che potevano erano accorsi dal villaggio: testimoni, parenti, curiosi, come a una festa, per vedere i compaesani, dopo tanto tempo, stipati nella capponaia - ché capponi davvero si diventava là dentro! e Neli Pirru doveva vedersi sul mostaccio quello dello speziale, che s'era imparentato a tradimento con lui! Li facevano alzare in piedi ad uno ad uno. - Voi come vi chiamate? - E ciascuno si sentiva dire la sua, nome e cognome e quel che aveva fatto. Gli avvocati armeggiavano, fra le chiacchiere, coi larghi maniconi pendenti, e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca, asciugandosela subito col fazzoletto bianco, tirandoci su una presa di tabacco. I giudici sonnecchiavano, dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore. Di faccia erano seduti in fila dodici galantuomini, stanchi, annoiati, che sbadigliavano, si grattavano la barba, o ciangottavano fra di loro. Certo si dicevano che l'avevano scappata bella a non essere stati dei galantuomini di quel paesetto lassù, quando avevano fatto la libertà. E quei poveretti cercavano di leggere nelle loro facce. Poi se ne andarono a confabulare fra di loro, e gli imputati aspettavano pallidi, e cogli occhi fissi su quell'uscio chiuso. Come rientrarono, il loro capo, quello che parlava colla mano sulla pancia, era quasi pallido al pari degli accusati, e disse: - Sul mio onore e sulla mia coscienza!...
  Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: - Dove mi conducete? - In galera? - O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c'era la libertà!... -

17 commenti:

Paloma ha detto...

da domani sarà un UOMO LIBERO; Libero ma sotto processo, da domani potrà tornare a casa SUA.
da domani potrà, passeggiando, incontrare lo sguardo di coloro che ha contribuito a VESSARE.
da domani sarà di nuovo libero di dire cosa vuole, ci sarà anche chi è disposto a farlo parlare e a sentire la SUA versione.
da domani, con che coraggio tornerà nella SUA Riomaggiore.
da domani NOI saremmo diversi, da domani potremmo parlargli di IERI
da domani, ma IERI come abbiamo fatto a uscire da questo incubo, NON LO DOVREMMO DIMENTICARE....

giuli ha detto...

...DA DOMANI PARLERA' DA UOMO LIBERO O SARA' LIBERO DOPO IL PROCESSO?
Non penso che da domani ritorni al SUO paese,leggendo le motivazioni della scarcerazione( perche' di scarcerazione si e' trattata fino ad ora)sembrerebbe che al SUO paese per il momento non possa tornare...poi si vedra'!!
Buon anno nuovo giuliano

Alessandro Palermo ha detto...

E ci mancherebbe altro che uno non potesse parlare o tornare al suo paese.
Avrà fonti più autorevoli per parlare, ma anche noi siamo a disposizione.

Ci saranno molti sguardi da incontrare, dai vessati ai favoriti, da chi lo ha aiutato a creare un grande progetto poi tradito, da chi invece gli era vicino e non lo ha saputo aiutare ad evitare questo casino, anche solo semplicemente nell'appiattirsi e nel non avere mai avuto la forza di digli che si poteva fare altrimenti.

Se poi questo paese da domani dovrà essere diverso, beh, la responsabilità è di tutti, incluso l'ex presidente.
In molti aspetteranno le sue parole, e qui non è in ballo la verità giudiziaria, ma quella umana e politica di un leader.

Dipenderà molto dalle sue parole, che faranno capire a tutti se è possibile andare avanti sereni per il bene della comunità, o seppure si stanno scavando trincee.
I dipendenti delle cooperative, che fin'ora aspettavano sue parole, sapranno se è possibile sviluppare la loro realtà autonomamente, da adulti.
I cittadini sapranno se sono svincolati a procedere innanzi, se ne sono capaci.

Sapremo anche se chi gli è stato avverso avrà l'umanità e l'intelligenza di saper superare questo tragico momento del nostro paese con civiltà e responsabilità.

Se sarà un buon anno lo vedremo, e probabilmente lo sarà solo se tutti, ma propri tutti, dai protagonisti di questa vicenda, ai cittadini più distaccati cui non è mai fregato nulla di nulla, saranno capaci di una grande volontà di riconciliazione coronata dalla evidente necessità di ripristino di uguaglianza e legalità.

Gli abitanti delle Cinque Terre hanno senza dubbio superato eventi tragici, ma forse erano tutti solo materialmente tragici, dalla fame, alle guerre.
Questo evento che è maggiormente umano e sociale è una prova che non abbiamo mai affrontato.

Questo è forse quanto di cui vorremmo sentir parlare.

Alessandro.

Anonimo ha detto...

@ alessandro : come te le aspetti queste parole ? Il metodo intendo, perchè le modalità sono una spia delle finalità (scavare trincee o no seguendo la tua espressione).Intervista ai giornali ? Comunicato ? Riunione plenaria ?
Concordo peraltro che le macerie siano più morali che materiali in questo caso.

Eugenio Bordoni

Carlo ha detto...

Se sarà un buon anno lo vedremo, e probabilmente lo sarà solo se tutti, ma propri tutti, dai protagonisti di questa vicenda, ai cittadini più distaccati cui non è mai fregato nulla di nulla, saranno capaci di una grande volontà di riconciliazione coronata dalla evidente necessità di ripristino di uguaglianza e legalità.
Gli abitanti delle Cinque Terre hanno senza dubbio superato eventi tragici, ma forse erano tutti solo materialmente tragici, dalla fame, alle guerre.
Questo evento che è maggiormente umano e sociale è una prova che non abbiamo mai affrontato.
Questo è forse quanto di cui vorremmo sentir parlare."

Confermo, concordo e sottoscrivo in toto.
Ottimo commento, complimenti Alessandro.
Carlo.

Anonimo ha detto...

INFORMAZIONI ELETTORALI
Spetteguless…

- Un altro Bonanini (il cugino William vicino di casa) alla conquista del palazzo. Sta contattando a destra e a manca per formare una lista con lui a capo. Chi lo manda?

- Altro personaggio enigmatico Mario Pecunia in cerca di uomini. Per conto di chi?

- La Franca Cantrigliani si starebbe avvicinando al laboratorio civico. Rinuncia alla lista “Per Riomaggiore”? In arrivo un incontro in settimana.

- Il “Fanton” costruirebbe pure lui una lista liberal Rio Maior.

- Il Pd potrebbe non fare la lista. Sta a guardare.

- Il laboratorio civico di Rio parte ai primi di Gennaio.

- L’osservatorio sa e non annuncia. Come mai?

Il Grillo giornalista.

Alessandro Palermo ha detto...

@eugenio

Come me le aspetto queste parole?
Via comunicato, giornali, lettera, citofono, blogs...???

Me le aspetto col Cuore.

Mi rendo conto dell'importanza della cosa, e della delicatezza nel parlarne.
Però devo anche dire che non apprezzo certe cose scritte con certi toni, specialmente quando uno non poteva rispondere.

Diciamo che se io fossi una merdaccia che ha gioito di certi eventi, me li godrei e basta.
Invece si da il caso che io ho lavorato molto per il Parco, e quindi ho lavorato pure per il Presidente Bonanini.
Per cui ho conosciuto molto di entrambe le cose, e ne ho potuto conoscere le sfaccettature.

Quindi questo casino mi ha abbastanza toccato, e non posso pensare a tutto questo senza un tremendo sentimento nello stomaco, sia che io pensi al destino di certi miei ex-colleghi, sia che penso a quanto lavoro è stato buttano nel cesso.

Però so anche che c'è solo una cosa da fare, andare avanti, senza esitazione, e senza continuità.

Adesso questa faccenda è andata a finire in un carruggio assai brutto, e un po' come una nave che va a finire negli scogli, poi alla fine, il comandante è comandante, lasciamo perdere i caporali.
Curiosamente, del disastro, il comandante ne risponde davanti alle Autorità e all'Armatore, ma in genere non all'equipaggio, se non in forma privata e informale, e questo è dettato da un dovere morale e come segno di rispetto.
Questo fatto è quello che consente al comandante poi di venire comunque rispettato, specie poi se si è preoccupato per ultimo di se stesso, anche di fronte all'evento irrimediabile.

Questo è quello che ne può salvare la memoria.

Mi sorprendo anche io di scrivere queste cose, ma se lo faccio è perché so quanto la cosa sia importante.
E siccome so che egli è sempre stato avanti, e sempre arrivava dove gli altri ancora dovevano cominciare, so che capirà il sentimento che mi spinge a scriverne, e se lo faccio ora è forse proprio perché adesso uno è libero di parlare.

Quindi quello che volevo dire è che è auspicabile un messaggio alla popolazione, nelle forme che uno ritiene giusto, e nella possibilità che una persona in mezzo a questa immane tragedia, possa avere.

Credo che sia un passaggio necessario, poi magari mi sbaglio.

Osservatorio Riomaggiore ha detto...

Per il Grillo:

Visto che c'è Lei, possiamo anche evitare di annunciare proprio tutto.
Poi noi nei limiti annunciamo cose di cui abbiamo certezze, e come Lei dice, qui si tratta di Spetteguless.

Comunque non abbia timori, riveli la sua discussa identità, potrebbe essere anche terapeutico.
E a noi quelli che dicono le cose come sono ci stanno pure simpatici.
Grazie per i suoi commenti.

Lea ha detto...

Io capisco che i toni debbano rimanere sereni però proprio non riesco più a mantenermi politicamente corretta e disposta al dialogo con chi non riesce a fare un ragionamento lucido e con chi vede le cose solo per il suo tornaconto. A prescindere dalle mie idee politiche e dalla mia posizione assolutamente insignificante nelle dinamiche locali (sono sempre stata contro a parole e mai nei fatti. Non ho mai aiutato in alcun modo la comunità ecc.) trovo riprovevole:
- sentir dire "ora il lavoro me lo da chi ha fatto opposizione " .Per due ragioni. 1 Il lavoro è un diritto sacrosanto , ma devi saperlo fare, perché è anche un dovere. Se uno è in un ufficio informazioni per turisti e non sa neppure una lingua straniera, non ha esperienze gestionali e di ufficio rilevanti, mi deve spiegare come fa a chiedere che gli vengano mantenuti gli stessi privilegi del vecchio sistema. Questo, così com’è stato gestito, non è lavoro, è stipendio … e c’è una differenza abissale! Questo ragionamento va fatto anche se so anche io che ci sono persone che lavorano e che hanno competenze dentro a suddetti uffici/sportelli informativi. Queste persone sono proprio quelle che dovrebbero sentirsi penalizzate da un sistema che li ha ridotti a polistirolo dentro una scatola vuota con il solo compito di far sembrare la scatola piena e di dare consenso elettorale e sociale (non escludo ovviamente l’intento dei gestori del sistema di dare lavoro agli abitanti dei comuni interessati). 2 Se la gestione del lavoro fosse stata corretta e gestita legalmente non si rischierebbe nulla.
- dover trovare scritto su un articolo questa descrizione: "Quasi sempre sdraiato su uno dei due divani color blu notte davanti alla televisione . Circondato da una pentola al muro , una vetrinetta straripante di oggettini, un bel quadro dai colori vivacissimi alla parete che porta un pò di allegria” . Riprovevole perché pur sembrando una descrizione oggettiva, oggettiva non è. Vuole suscitare un sentimento ben preciso.
- Sentir parlare di “piglio da padroni”. Non aggiungo altro.
- Sentir dire che si poteva cambiare il sistema senza scardinarlo del tutto ed in maniera non aggressiva sia da chi si è tirato indietro (chiudendo la propria coscienza in un cassetto) sia da chi si muove in maniera “non aggressiva” perché segue il linguaggio della politica che impone di scendere a compromessi.
Potremo tornare a parlare civilmente solo se TUTTI utilizzeremo un po’ di coscienza critica nei confronti della situazione. Ecco cosa mi aspetto da chi vuole essere considerata una persona libera e pulita : onestà intellettuale .
Aspetterò, credo invano.

Lea Sturlese

Lea ha detto...

Io capisco che i toni debbano rimanere sereni però proprio non riesco più a mantenermi politicamente corretta e disposta al dialogo con chi non riesce a fare un ragionamento lucido e con chi vede le cose solo per il suo tornaconto. A prescindere dalle mie idee politiche e dalla mia posizione assolutamente insignificante nelle dinamiche locali (sono sempre stata contro a parole e mai nei fatti. Non ho mai aiutato in alcun modo la comunità ecc.) trovo riprovevole:
- sentir dire "ora il lavoro me lo da chi ha fatto opposizione " .Per due ragioni. 1 Il lavoro è un diritto sacrosanto , ma devi saperlo fare, perché è anche un dovere. Se uno è in un ufficio informazioni per turisti e non sa neppure una lingua straniera, non ha esperienze gestionali e di ufficio rilevanti, mi deve spiegare come fa a chiedere che gli vengano mantenuti gli stessi privilegi del vecchio sistema. Questo, così com’è stato gestito, non è lavoro, è stipendio … e c’è una differenza abissale! Questo ragionamento va fatto anche se so anche io che ci sono persone che lavorano e che hanno competenze dentro a suddetti uffici/sportelli informativi. Queste persone sono proprio quelle che dovrebbero sentirsi penalizzate da un sistema che li ha ridotti a polistirolo dentro una scatola vuota con il solo compito di far sembrare la scatola piena e di dare consenso elettorale e sociale (non escludo ovviamente l’intento dei gestori del sistema di dare lavoro agli abitanti dei comuni interessati). 2 Se la gestione del lavoro fosse stata corretta e gestita legalmente non si rischierebbe nulla.
- dover trovare scritto su un articolo questa descrizione: "Quasi sempre sdraiato su uno dei due divani color blu notte davanti alla televisione . Circondato da una pentola al muro , una vetrinetta straripante di oggettini, un bel quadro dai colori vivacissimi alla parete che porta un pò di allegria” . Riprovevole perché pur sembrando una descrizione oggettiva, oggettiva non è. Vuole suscitare un sentimento ben preciso.
- Sentir parlare di “piglio da padroni”. Non aggiungo altro.
- Sentir dire che si poteva cambiare il sistema senza scardinarlo del tutto ed in maniera non aggressiva sia da chi si è tirato indietro (chiudendo la propria coscienza in un cassetto) sia da chi si muove in maniera “non aggressiva” perché segue il linguaggio della politica che impone di scendere a compromessi.
Potremo tornare a parlare civilmente solo se TUTTI utilizzeremo un po’ di coscienza critica nei confronti della situazione. Ecco cosa mi aspetto da chi vuole essere considerata una persona libera e pulita : onestà intellettuale .
Aspetterò, credo invano.

Lea Sturlese

Anonimo ha detto...

@alessandro : temo che non ci sarà nessun messaggio ma fortunatamente non ho la palla di vetro.
Non capisco molti passaggi del tuo scritto, al massimo intendo il peso che porti.
Sai, ma se non l'hai provato nel tuo intimo non puoi capire fino in fondo, che per molti è stata una guerra esistenziale.Non ho presente quali sono i "certi toni" ma casomai sempre meglio di un collegio ipocrita x educande.E per quanti anni non solo non potevi rispondere ma neache parlare pena la purga ? (è un modo di dire non penso a Stalin).
Per il lavoro nel cesso mi pare pure superfluo ribadire chi ce lo ha buttato.Ma mi preme ribadire che se fai un debito per costruire un muro devi sapere di poterlo ripagare nell'arco della tua vita, altrimenti è una truffa ai tuoi figli.
Poi la similitudine tra la nave e il Comune di Riomaggiore mi pare impropria perchè la nave è privata (infatti il Capitano ne risponde all'Armatore) mentre il Comune è cosa pubblica dove i cittadini votano e danno la propria fiducia ai rappresentanti.Alimentare la propria fame di potere è una forma tipica del persare a se stessi (non ci sono solo quelli che si comprano case,macchine,fondi etc...).
Infine ti dico che per chi crede in Gesù Cristo il perdono è un dovere, per chi non crede talvolta è un atto di intelligenza umana e politica.Ma senza passare da stupidi.

Eugenio Bordoni

Lea ha detto...

Comunque ribadisco che sarebbe meglio parlare di quel che sarà e lascar perdere quel che è stato.

Anonimo ha detto...

E incredibile come ancora dopo mesi continuate a parlare del passato. Non posso che fare i miei complimenti alla Lea Sturlese.
Quel che sarà evidentemente non interessa o se interessa non è motivo di discussione eppure sviscerare e iniziare a conoscere chi costruirà liste buone e liste strane ed i loro programmi sin da ora è molto importante.
Condivido e vorrei fossero approfonditi di più gli spetteguless del Grillo i quali sappiamo tutti benissimo che sono molto vicini alla realtà.
Non capisco la volontà dell'osservatorio di voler conoscere l'identità del Grillo, il quale fa bene a non rispondere alla provocazione " ...potrebbe essere anche terapeutico."
Se, poi come penso, conoscerne l'identità serve per poterlo meglio attaccare anzichè discutere sui contenuti che propone meglio che rimanga anonimo.
Fino a quando porterà dei temi validi ben venga.

Sullo sfogo di Alessandro concordo con Eugenio.

Carlo

Alessandro Palermo ha detto...

La risposta l'abbiamo trovata nel giornale di oggi.

Può essere che le persone come Eugenio, che come dice lui la purga l'hanno assaggiata, potevano avere pregiudizi.

Io, che di pesi proprio non ne porto, in un senso e nell'altro, mi sento anche più libero e di valutare serenamente.
Difatti se facessi parte di quelli purgati, capirei quelli con la schiuma alla bocca.

Invece mi sento più libero di dire e di capire.
La metafora della nave invece ha senso, ma per poterla capire forse bisogna esserci stati su di una nave.
Che fosse pirata, statale, privata o quello che vuoi tu, il capitano ha il peso di responsabilità di tutto, responsabilità che prende per primo in caso di sciagura. Così pure le prime parole sono indirizzate all'incolumità e alla preoccupazione dello stato delle persone.

Pazienza oh, che ti devo dire, avrai ragione tu.
Io invece qualcosa di diverso me lo sarei aspettato.
Posso prendere atto di certe cose, e mi auspico che quanto letto rassereni, o rassegni, gli animi allo stesso modo in cui un messaggio verso la propria gente poteva fare.
Vorrà dire che è più facile andare avanti.

Ed è più facile per quelli non purgati, che possono serenamente farsi un idea più precisa, prescindendo da sentimenti, giustamente o meno, astiosi.
Ed è proprio da queste persone che ci si aspetta il meglio.

Gesù Cristo, lo lascerei stare, ha già il suo bel da fare, e da queste parti ce lo siamo dimenticato da un pezzo, per ben altri valori.
Premetto che per me questa non è una polemica, e quanto ho scritto chiude la mia opinione sulla cosa.

Osservatorio Riomaggiore ha detto...

L'identità del Grillo ci interessa perché sembra uno che sa le cose e le dice assai bene.
Per cui potrebbe essere un nostro valente espositore, saremmo felicissimi se accettasse l'invito a collaborare.
Terapeutico dato che ha lamentato il furto della sua identità, se si svela questo non succede più e così non ha problemi di schizofrenia o di furti di identità.
E poi perché una volta in gioco ci si sente meglio e tutti insieme si ragiona apertamente senza sospetto e incertezze.
Grazie Carlo per i tuoi commenti, sempre equilibrati.
I complimenti a Lea sono condivisi da molti, e a giusta ragione.

Anonimo ha detto...

@ carlo : la cosidetta "Ossessione per il passato" è un classico di tutti i passaggi storici.Dove c'è stato e c'è conflitto se ne esce solitamente con una versione ufficiale (quella dei vincitori) e con le recriminazione degli sconfitti.Avere una memoria condivisa è invece difficilissimo,quasi sempre impossibile.
Se la versione è quella propinataci oggi dal Secolo XIX, misto tra scaricabarile-chiagni e fotti-mariomerola capisci bene che la strada è lunga.
Eccoti il mio mio futuro : Comune parte civile per recuperare risorse,sfruttamento adeguato delle proprietà pubbliche,collaborazione col Parco tramite la Comunità del Parco,dialogo con gli altri Comuni per migliore viabilità e piano del commercio,posti di lavoro stabili, non a debito e sempre in bilico se non arriva il contributo una tantum.Svolta reale ed energica verso una economia dove si intersichino turismo,agricoltura e mantenimento del territorio.
Fare questo sarà difficile ma se si studiano altre esperienze,cercando di carpire il meglio, sapendo dialogare (in lingua meglio senza interpreti) con l'esterno senza credersi l'ombelico del mondo le prospettive sono buone.

Eugenio Bordoni

Carlo Ricci. ha detto...

Il "Carlo" del commento delle 14.24 non sono io.
Questo per amore della verità.
Carlo Ricci.